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Il giovane cuoco di Isola non ha passato il turno nel programma di Borghese: “Ma ho centrato lo stesso il mio obiettivo”

Si può vincere anche perdendo. Manuel Di Stefano, giovane chef di Isola del Gran Sasso, non ha passato il turno nella sfida televisiva, andata in onda ieri su Tv8, che l’ha visto contrapposto a una collega dell’Emilia Romagna nel programma condotto da Alessandro Borghese “Cuochi d’Italia”. Per lui, titolare con il fratello Alessandro del ristorante “La Goccia” a Trignano, non lontano dal santuario di San Gabriele, è stato comunque un successo: non tanto personale, quanto per l’Abruzzo che ha voluto e saputo rappresentare al meglio sfruttando l’occasione che gli è stata offerta dal network nazionale.

 

Manuel ha portato davanti alle telecamere la sua storia e quella del territorio teramano, esaltandone alcuni degli ingredienti fondamentali proposti in un piatto unico al mondo: le scrippelle ‘mbusse. “Ho riproposto la ricetta di mia nonna Letterina”, spiega lo chef, che ha 28 anni e dal 2014 gestisce il ristorante aperto in un casolare di campagna della sua famiglia, “raccontando me stesso attraverso il piatto”. Manuel ha fatto parlare le materie prime utilizzate, a cominciare dall’acqua per il brodo che ha portato con sé da una fonte vicino casa. Ha proposto pecorino e olio locali, presentando le scrippelle in un piatto di Castelli. “E’ stato bello questo, riuscire a parlare del territorio”, osserva, “nonostante non abbia passato il turno sono riuscito ad esprimermi: sono stato me stesso, a far passare il messaggio che  volevo, per cui l’obiettivo è stato raggiunto”. 

 

Diplomato all’istituto alberghiero di Teramo ha maturato esperienze in Spagna, Germania, Inghilterra e Nord Italia per aggiungere un tocco personale e creativo alla sua cucina comunque ancorata al territorio e alle tradizioni. Gran parte degli ingredienti sono di produzione propria, come l’orzo o la farina semintegrale di grano Solina che usa per pane, grissini e pasta. Nei suoi piatti trovano spazio cicoria selvatica ed erbe spontanee o provenienti da orti della zona, oltre all’olio del Gran Sasso.  Alle scrippelle si aggiungono così le tagliatelline con ragù d’anatra e ricotta stagionata, il pancotto, il timballo e una rielaborazione della porchetta. “La base di partenza è sempre la tradizione”, spiega lo chef, “a cui aggiungono qualcosa di mio, curando anche l’impiattamento”. 

 

Nei suoi piatti c’è anche ricerca, crescita continua. “Si studia tanto, tutti i giorni”, sottolinea, “c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire perché la cucina va avanti e anche tu evolvi: quello che prima facevi in un modo oggi lo vedi in maniera diversa pur mantenendo gli stessi ingredienti”. 

L’ultima creazione di Manuel non è un piatto ma un liquore. A base di canapa, con miele millefiori della montagna teramana, lo chef lo offre a fine pasto e come prodotto da riportare a casa come ricordo del territorio. Anche in questo caso, più che la moda o l’ammiccamento a effetti collaterali, prevale il legame con la terra. “Mia nonna e i suoi genitori coltivavano lino e canapa in altura, ho ancora i suoi strofinacci fatti di quelle fibre”, ricorda lo chef, “e dunque ho pensato di usare le stesse piante anche in cucina”. Dopo i primi esperimenti con i fiori di canapa nei piatti, Manuel ha sfruttato quell’ingrediente come elemento base del suo liquore. “La canapa da noi c’è sempre stata, il territorio si presta benissimo alla sua coltivazione che nell’ultimo periodo è ripresa”, conclude, “così ho voluto utilizzarla come si fa con la genziana”. 

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