Ecco il primo vostro contributo, proposto nella sezione “Scrivilo tu”.
È un affascinante testo di Nico Alparone, esperto di America Latina

AMERICA LATINA
Approccio N. 1
URUGUAY
L’Uruguay è un bel posto per viverci. Esso confina: al sud con l’isteria de Los Porteños, gli abitanti di Buenos Aires, che vivono sull’altra sponda del Rio de La Plata e che considerano l’Uruguay la loro provincia orientale e un buon posto per trasferirci le ansie nei periodi di vacanza e i soldi in quelli di inflazione. Gli uruguaiani – che da adesso in poi chiamerò con il termine spagnolo, uruguayos – abbozzano un sorriso e li sopportano con superiore buon senso. Al nord con la caciarona sensualità brasiliana che di tanto in tanto sconfina, ma che generalmente preferisce rimanere dentro i propri limiti geografici, linguistici e culturali, tanto lontani e distinti da qualsiasi altro paese dell’America Latina. Il Brasile è un continente a se.
Vivaddio, in spagnolo non esiste termine alternativo a negro per dire negro. Non solo, è anche un termine molto affettuoso con il quale si apostrofa il proprio amato o la propria amata: mi negra, mi negro lindo, in alternativa solo mi mulata, mi mulatona (benvenuta se associato a “mueve la cintura”), oppure al plurale può diventare,”Los Morenos”. In Uruguay la comunità negra non è integrata, ma parte integrante e fondante. Il loro contributo musicale è imprescindibile tanto quanto quello del bianco tango. Oltre alla non ostentata superiorità morale degli uruguayos, ecco un’altra delusione per gli argentini: il tango è tanto argentino quanto uruguayo, infatti il tango è rio-platense, nato, cresciuto ed evolutosi, sulle due rive del Rio de la Plata, tanto che c’è chi mette in dubbio i natali di Gardel e li colloca a Montevideo. Una bestemmia per gli argentini.

Non ho spazio e tanto meno competenza per dare completezza al concetto di musica negra uruguaya. Per cui vi accontenterete di alcuni riferimenti imprescindibili.
La Murga: molto semplificando pensiamo a un gruppo teatrale musicale, di cantanti ballerini e attori in maschera, legati alla tradizione del carnevale, che si aggregano generalmente per “barrio” e competono tra loro come fanno le “Escola de Samba” brasiliane. Affonda radici sia nella commedia dell’arte, dalla quale prende figure come Pierrot e Colombina, ma musicalmente è totalmente afroamericana, prediligendo solo strumenti a percussione, bombo, platillos y redoblante. Momento imprescindibile del carnevale uruguayo, che ha una durata di 40 giorni, è musicalmente legata al Candombe, che è la musica dei negri schiavi sbarcati a Montevideo ai tempi delle colonie. Ragion per cui una delle figure più importanti della Murga è la maschera irriverente, ossia quel prendersi gioco dei padroni vestendone gli abiti, il frac, i guanti bianchi, il cilindro e personalizzandoli con i colori di appartenenza della Murga del proprio barrio, proprio come fanno le Escola de Samba di Rio o i contradaioli di Siena. Per ultimo un accenno alla Llamada. È il momento iniziale del carnevale. A differenza della Murga, che è stanziale, ovvero si svolge su un “tablero”, diciamo un palco, la Llamada è la chiamata a raccolta che integra e precede la festa, i differenti gruppi passano a ritmo del Candombe con decine di tamburi, spesso con ballerine e ballerini che invitano la gente ad unirsi a loro.
So che mi attirerò gli strali di qualsiasi uruguayo che mi legge, per l’imprecisione e la povertà della spiegazione che vi ho dato. Ho fatto del mio meglio e spero serva a raccontare quanto mi premeva. La cultura di un paese che (per sua fortuna) non se lo fila quasi nessuno e, a seguire, la vita di un cantante dalla voce stupenda.

In memoria di Washington El Canario Luna
(1938 – 2009)
Montevideo Luglio 2009
Pedro scrive a testa bassa con calligrafia minuta e pulita sul suo ricettario bianco.
«Canario, queste le devi prendere. Passa da Jorge che a quest’ora ha ancora la farmacia aperta. Poi a casa, un buon churrasco e un bicchiere di rosso, uno, le tre pillole, una alla volta, ogni 5 minuti con un bicchiere d’acqua, acqua, e poi a letto».
«Bueno Pedro, ci vediamo più tardi al bar».
Alza per un istante gli occhi dal foglio, giusto prima di firmare la ricetta, giusto un attimo per folgorarmi con amore attraverso i suoi occhi azzurro cielo. Senza parole mi dice che sa bene che per me è il capolinea e che la migliore cura per ciò che mi resta – tantIssimo, fossero anche solo poche ore – è il Bar. Quel Bar stracolmo come non mai delle anime di chi negli ultimi 40 anni ci ha versato la vita, senza mai risparmiarsi, senza mai tutelarsi, ci ha dilapidato fortune di intelligenza, ci ha costruito grandi povertà.
Per tanti un tavolo del bar, sempre lo stesso tavolo, è stato ufficio per tutta la vita, o scrivania stracolma di manuali e fogli durante gli anni di università. Per molti il bar è stato la pubblica sede della più ostinata opposizione clandestina al regime, per altri il luogo di interminabili sedute di strategia calcistica dalle quali sono scaturite le più azzardate formazioni per la Celeste o per il Peñarol, ma per tutti, indubbiamente, è stato il luogo deputato per eccellenza alla preparazione della Murga del prossimo carnevale.
A questo non rinuncerei mai, foss’anche l’ultima sera che mi resta da vivere. E poi perché proprio l’ultima sera dovrei rinunciare alla vita?
Affronto quindi col freddo alle ossa la “garua” di questo inizio inverno a Montevideo. Qui paghiamo pegno in luglio, in quell’altro emisfero adesso è estate, ma, mi chiedo, come fanno poi a festeggiare il carnevale in pieno inverno? Se febbraio non fosse estate potremmo sfilare con la Murga e con la Llamadas al ritmo del Candombe?
Al Bar tutti mi conoscono e tutti mi salutano, i vecchi amici di sempre, ma anche “los pibes”, i figli di quelle anime che, invisibili per molti ma non per me, popolano il bar più degli altri. Sono sagome tra i presunti vivi, sedute al banco o ai tavoli, sempre con il loro bicchiere in mano, sempre con la “sonrisa” franca e sorniona di chi ne ha già viste tante e passate tutte.
E allora:
«No lo vieron a Molina
Que no pisa más el bar
Dónde está la Gran Muñeca
Que no trilla el bulevar
Esta noche es de recuerdos
Este brindis por Pierrot
Volverás Mario Benítez
Con tu Línea Maginot»
Eccoli i miei amici, un anarchico poeta, un pugile suonato, un ladro di professione e Pierrot la più classica tra le figure del carnevale.
Dunque:
«Me voy
Como se han ido tantos
Que el recuerdo disfrazó de santos …»
Vado via, come se ne sono andati in tanti, poi il ricordo li ha mascherati da santi …
Lo so, faranno così anche con me.
Montevideo, febbraio 1966
Un caldo bestia, più che altro è questa umidità, sembra che il Rio de la Plata scorra lungo Avenida 18 de Julio. Quando apro la porta del bar sono strasudato … ma felice.
«Pedro, Pedro …».
Sapevo che lo avrei trovato là, al solito tavolo, seduto sempre sulla stessa sedia, davanti al suo Gancia con limone, appoggiato su un gomito a leggere e sottolineare il manuale di Istologia.
«Mi hanno preso Pedro, mi hanno preso!!!».
«E perché non sei in galera, allora?».
«Stupido… non mi ha preso la polizia. È il mio giorno. Da oggi sarò “El Canario” per la Murga Don Timoteo».
«Stupendo. E chi è El canario?».
«È una figura della Murga, dovrò soprattutto cantare».
«Ti credo, con quella voce che ti ritrovi, vedrai che diventerai un cantante professionista».
«Ma smettila scemo, lo sai bene che io grido, non canto. Però grido bene, l’esperienza degli anni allo stadio Centenario a vendere bibite, tutto merito di Eugenio Perez, mi ha insegnato lui a modulare la voce per farmi riconoscere e vendere meglio. E poi che professionista … l’importante è riuscire a mettere insieme la cena per me e la mia negra e se riesco a comprare anche l’olio, vuol dire che mi è andata davvero bene».
Ci scolammo una birra, io continuavo a sudare, lui mi guardava con gli occhi amorosi di un padre, nonostante fosse abbastanza più giovane di me.
«Scappo a casa, mi devo preparare, stasera arriva la Llamada!».
Eccola che arriva “La Llamada”, eccoli Los Morenos con i loro tamburi. Come sempre la gente impazzisce e si mette a ballare.
Presto “negra” dove hai messo i miei guanti e il mio vecchio bastone, “negra” le mie lenti, la mia camicia a righe e il mio frac elegante. Il mio cilindro.
“Negra” dammi le valigie perché “Los Morenos ya estan por llegar”, fai presto “negra”, devo andar via con loro.
Nico Alparone