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America Latina, approccio n.2: Cuba

di Nico Alparone 

Las Mercedes, Cuba, agosto 1958

– Ernesto … Ernesto … “Che”

-Mmmm

-Ernesto … stai dormendo?

-No Fidel, se mi rompi i coglioni è sicuro che non dormo

-Ma a te piace la musica?

-Fidel, a me piace … piacerebbe dormire. Magari è l’ultima notte di sonno della mia vita …

-Appunto, tanto vale approfittarne … poi dormirai quanto vuoi

-Grazie del suggerimento

-Che musica ti piace …

-E’ inutile, sei un “cabron”. Si, certo che mi piace, in Argentina ascoltiamo molto tango, ma c’è anche parecchia bella musica popolare. Ne ascoltai tanta quando partimmo io e Granado con “la Poderosa”. Musica bellissima, in Cile, ma anche in Perù e in Colombia …

-E della musica cubana che mi dici …

-L’unica musica cubana che conosco è quella delle raffiche di mitra e dei versi degli animali della Sierra….

-Non mi ha mai interessato molto la musica. Però quella popolare cubana è veramente bella, ma soprattutto è importante per la gente, è parte della nostra cultura, appartiene al popolo, al suo modo di vivere, alla vita di tutti i giorni, è parte del loro stesso corpo, del loro sangue. Tu senti questa musica in ogni possibile situazione, nei quartieri più popolari, nei caffè, nei ritrovi, si mescola con il rum, le risate, col sudore della povera gente, capace di ballare un Son anche dopo una giornata di lavoro nei campi di caña. Vedi ballare i bambini, “las lindas mulatonas”, i vecchi. La musica popolare cubana è di tutti e quindi è rivoluzionaria!

-Mi hai svegliato alle due del mattino per parlarmi della rivoluzione della musica? Tu sei matto, ma lo sapevo già.

-Vedrai, dobbiamo chiedere a Camilo. Lui è un appassionato. Conosce tutti i Son tradizionali ed è pure un bravissimo ballerino. Ma il problema non è questo, c’è un’altra cosa che mi rode adesso.

-Non se ne potrebbe parlare domani …

-Aspetta, ancora una cosa, dopo ci dormiamo sopra.

-Dai sputa, vediamo se poi mi lasci in pace. Domani Camilo e i ragazzi arriveranno prestissimo, il dispaccio diceva che avrebbero marciato tutta la notte per essere qui all’alba …

-Vedi Ernesto, è che tanti artisti, anche quelli molto bravi, si sono prostituiti per i gringos. Niente più orchestrine popolari, si sta perdendo il Son e il Changui’ delle comunità rurali, adesso hanno formato le grandi orchestre e si esibiscono nei bordelli per gli americani, come il Tropicana o peggio. La più odiosa è una “signora” che si chiama Celia Cruz … vedrai che fine fa quella. Ma ci sono anche tanti bravi artisti che continuano ad essere umili e a fare la musica del popolo o quelli che la musica la studiano seriamente e che studiano anche le nostre tradizioni. Te l’ho detto, poco ne so di musica …

-Ma se mi sembri un professore 

-Lo sai che mi piace informarmi su tutto. Comunque ci saranno quelli da salvare e quelli che con noi dovranno passare l’inferno o dovranno sparire da Cuba. Ma c’è un signore, un pianista sopraffino che si, suona anche all’estero, ma non si mischia con le prostitute del Tropicana e poi, ho saputo, ci ha molto in simpatia, ha confessato ad un mio antico collega dei gesuiti che lui sta dalla parte nostra e spera che liberiamo presto la nostra bella isola da quel bastardo di Batista.

-Come si chiama?

-Ignacio Villa, ma lo conoscono tutti col suo nome artistico: Bola de Nieve.

Questa conversazione notturna tra Fidel e il “Che” è una maionese impazzita. Gli ingredienti vanno bene, ma combinarli tra  di loro è impossibile. 

Nell’agosto del 1958, infatti, a Las Mercedes c’era probabilmente solo il comandante Che Guevara. Fidel e il fratello Raul guidavano altre truppe, che, abbandonata la Sierra, si erano concentrate nelle province orientali. Il “Che” e Camilo Cienfuegos invece, convergevano verso le pianure centrali, iniziando l’avvicinamento ai grandi centri urbani in vista della battaglia finale per la liberazione de La Habana.

Non credo poi esista evidenza storica di una “Fatwa” lanciata da Fidel contro le grandi orchestre cubane degli anni 50, che imperversavano nei locali della capitale considerata ai tempi il bordello degli americani.

Gli ingredienti della maionese però, seppur separati, rimangono tutti. Di fatto, già dagli anni ’60, la musica popolare cubana divenne, nella visione strategica rivoluzionaria del momento, musica di stato e pertanto ingabbiata e relegata agli ambiti ufficiali dei conservatori e delle accademie musicali. Tolta al suo brodo di coltura originario, la strada e la propagazione orizzontale, ovvero popolare, subisce una traumatica paralisi, dalla quale riuscirà a guarire solo dopo alcuni decenni, come ben sappiamo, non foss’altro per il salvifico avvento della carovana “Buena Vista” guidata da Ray Cooder.

Che Ignacio Villa, di cui affronteremo adesso le suggestioni musicali nella sua più conosciuta veste di Bola de Nieve, fosse idealmente, prima che ideologicamente, amico della Rivoluzione Cubana è cosa acclarata nelle sue biografie. Che fosse omosessuale probabilmente era cosa nota a molti ma solo post mortem divenne notizia risaputa e incorporata nelle biografie più o meno ufficiali che lo riguardano.

Stupisce quindi la tolleranza di cui di fatto godrà Bola de Nieve da parte del Governo Rivoluzionario, ottusamente persecutorio nei confronti della omosessualità, anche se spesso ciò costituiva solo uno scadente alibi a copertura di neppure troppo velate persecuzioni ideologiche.

Torniamo però ai fatti. Forse l’adesione accondiscendente, sincera ma senza enfasi del nostro e il suo mai sbandierato orientamento sessuale, mantenuto fino alla morte con privato pudore, “aiutarono”, per così dire, anche i più ossequienti funzionari del partito a mantenere per il non più giovanissimo Ignacio un interesse squisitamente artistico, assecondandone persino la figura come una sorte di ambasciatore culturale di Cuba e della sua rivoluzione. Reinaldo Arenas, poeta e scrittore omosessuale, tra i più accaniti oppositori al regime comunista cubano, scrisse di lui che fu “el calesero del Partido Comunista”. Riporto la citazione per dovere di cronaca ma mi prendo la libertà e l’autonomia intellettuale di non condividerla neanche un po. 

L‘opportunismo di regime, comunque, è cosa ben nota a tutte le latitudini e in ogni periodo storico, anche quello di chi si affanna a sbandierare strane forme di democrazia, salvo poi.

Di fatto, per esempio, lo stesso odiato Tropicana non venne mai chiuso, troppo importante ed attraente per qualsiasi turismo succedutosi negli anni alla sbracata invasione americana degli anni 40 e 50. La gestione passò allo stato e non era più nelle mani di Santo “Sam” Trafficante, un boss mafioso americano che gestì il locale durante gli anni del regime di Fulgencio Batista e che fu cacciato dall’isola immediatamente dopo la vittoria di Fidel e dei suoi del 1959.

Fino ad ora però non abbiamo ancora ascoltato una sola nota dal piano e dalla voce di Bola de Nieve. Vamos a empezar.

Ignacio Jacinto Villa Fernandez – Bola de Nieve 1911 – 1971

Ignacio Jacinto Villa Fernandez, nasce non lontano da La Habana l’11 settembre del 1911.

Nonostante le origini alquanto umili, il suo precocissimo amore per la musica non fu frustrato, ma piuttosto favorito da un ambiente sereno, rilassato e bohemien proprio della sua numerosissima famiglia (12 fratelli) e dello stesso piccolo centro nel quale trascorse i suoi primi anni. Riuscì quindi a studiare musica fin da piccolo e già in adolescenza trovò occupazione come accompagnatore al piano nei teatri nei quali venivano proiettati i film muti. Fu un’esperienza determinante che oltre a fortificare i suoi fondamentali tecnici gli regalò uno stile molto speciale che poi lo contraddistinse per sempre.

Nel 1933 una cantante già famosa all’epoca, Rita Montaner, lo ascoltò durante una sua apparizione in uno dei tanti cabaret o bar nei quali riusciva a farsi contrattare per guadagnarsi la pagnotta. Fu impressionata dallo stile molto particolare di trattare la tastiera e lo contrattò come suo musicista accompagnante. Da li a poco partirono in tournée per il Messico. Di fatto la carriera di Ignacio aveva avuto inizio e proseguì senza pause fino al giorno della sua scomparsa. Proprio in occasione di un concerto in Messico con la Montaner, per la prima volta in locandina comparve il nome d’arte che lo accompagnerà per sempre, “Bola de Nieve”, sembra per una idea ironica – e forse poco apprezzata dall’interessato – della stessa Montaner, che faceva riferimento al colore della sua pelle nera e alla sua già notevole stazza.

Viaggiò esibendosi con successo in tutto il mondo, anche dopo la rivoluzione castrista. Stati Uniti, America Latina, Europa e persino Asia. Il suo modo speciale di cantare ma soprattutto di suonare, trattare, accarezzare, giocare con (è forse il termine più adeguato) il pianoforte, costruirono la sua leggenda, ma a tutto questo contribuì non poco “una sua seduzione lucida, il suo perpetuo sorriso, unito al rigore professionale, all’eleganza impeccabile e al pudore per la sua privacy” (parole di un giornalista argentino).

Citerò alcune delle sue perle che credo lo possano ben rappresentare.

Il repertorio di Bola de Nieve è composto da canzoni sue e da molte interpretazioni. Il fatto è che non esiste interpretazione che non diventi di fatto una sua personalissima creazione. Mi impressionò ascoltare un bolero – i bolero hanno costituito la cifra fondamentale del suo repertorio insieme alle canzoni popolari cubane – “Vete de Mi”, un classico degli anni 40, eseguito da Caetano e casualmente riascoltarlo subito dopo nella interpretazione di Bola de Nieve. Il gioiello che infiocchetta Caetano è, come sempre, di una eleganza speciale. L’impronta del magnifico album di Caetano, Fina Estampa, è proprio quella di restituire alcuni grandi classici latino americani, in una veste raffinata ed elegante. Caetano ci riesce perfettamente e sforna con “Vete de Mi” un disperato ultimo regalo per l’amata perduta, che sa di zagara e miele.

La versione sporca di Bola de Nieve straccia i cuori e le convenzioni musicali, il canto e l’esecuzione sono un tragico tutt’uno, un ultimo regalo che sa di umano, consegnando se stesso, pianoforte compreso, quale parte del suo corpo, alla amata perduta.

Cito ancora pochi brani. Si era fatto le ossa tra i cinema del muto e i cabaret, sapeva quindi essere divertente e ironico, come nel dolcissimo ma per niente melenso ricordo della madre Inés. Ricordate “mamma solo per te la mia canzone vola”? Bene, scordatevela. In “Ay, Mama Inés” che chiude con una bella risata, c’è invece “Ay, Mama Inés, Ay Mama Inés, todos los negros tomamos café”. Ancora con la sua voce rotta e geniale ci restituisce delle versioni inaspettate de “La Vie en Rose” o, pensate, di “Munasterio e Santa Chiara”, rigorosamente in napoletano e condito con una citazione di “Parlami d’amore Mariù”.

Ancora. Una vera e propria pellicola in musica: Babalù. Una ninna nanna “negra” cubana ma famosa in tutto il Sud America “Drume Negrita” che ti far venire voglia di essere una bambina nera per sentirtela dedicare. La struggente “Alma mia”, nella quale si rivolge direttamente e senza remore alla sua anima, per poter poi affermare che “Se incontrassi un’anima come la mia, chissà quante cose segrete le racconterei”.

Fa sua anche “Mesié Julián” del suo contemporaneo Armando Oréfiche, sua perché anche il testo sembra essergli cucito addosso.

“Yo soy poco social
Soy intelectual y chic.
Y yo me fui a Nueva York
Conozco Broadway, París …

Y yo me llamo Julián
Martínez Vidal y Ruíz

Yes, yes, oui, oui

Soy, un artista mundial”

Ma voglio senz’altro chiudere questo zibaldone con “El Manisero”.

El Manisero  è probabilmente la canzone cubana più famosa. Le sue origini sono incerte, per quanto sia accreditata a Moises Simons, cubano di fine ottocento, che sicuramente ha avuto il merito di codificarla ed affidarla alla voce di Rita Montaner alla fine degli anni ’20. Ricordate la Montaner?  Proprio quella che ha di fatto scoperto Bola de Nieve ed appioppato quel nome d’arte, l’alias che lo accompagnerà per sempre.

In realtà sembra che la nascita de “El Manisero” precedesse già di qualche anno quella dello stesso Simons (1889). Si tratta di un Son-Pregón, dove Son è lo stile musicale tipico di molta musica cubana di fine ottocento e di buona parte del novecento ed alla base di quasi tutta la latina che ascoltiamo oggi. Il Pregón invece, più che una preghiera in senso stretto, è una invocazione e, nello specifico del testo, un richiamo cantato dal venditore di arachidi (El Manisero: The Peanut Vendor) alla gente e soprattutto alle “Caseritas” (matrone o impiegate, non importa), affinché acquistino un “Cucurucho del Maní”, un Cartoccio di Arachidi. 

“Questa notte non andare a dormire

Senza prima mangiare un cartoccio di noccioline …

Maní … Maní …” Strilla il Manisero e il coro ricorda a tutti che: “Ya se va El Manicero, Ya se va”

Insieme a Guantanamera è la canzone cubana più conosciuta e incisa, se ne contano più di 160 versioni, compresa quella che forse l’ha resa più famosa, di Stan Kenton e la sua big band del 1947. Tutti la hanno ballata, magari facendo i trenini. Ma del misero venditore di noccioline che passava per le strade de La Habana di fine ottocento non rimane più nulla. Invece Bola de Nieve … un godimento riascoltarla dalla sua voce e dal suo piano, siamo veramente tra le strade della vecchia La Habana al tramonto, e qualche bella “caserita” sicuramente si è affacciata per acquistare per pochi spiccioli le noccioline di Bola de Nieve e lui potrà infilarsi a letto col suo smagliante e inconfondibile sorriso.

Metterò solo questo link in calce. Tutto il resto potrete tranquillamente cercarlo da soli.E se proprio ho suscitato un po della vostra curiosità vi consiglio vivamente “El Inigualable Bola De Nieve”, antologia molto completa nella quale il nostro ci regala pure un educato saluto iniziale e uno finale al gentile pubblico intervenuto in sala. 

Negro, grasso, omosessuale: un signore.

https://youtu.be/dFQIacUgleo

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